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UN PIATTO COLMO DI CIBO SANO


Inoltre, meno di un farmaco su tre supera la fase iniziale, detta di discovery, e passa alle fasi successive. Proprio questa fase di discovery è responsabile di circa il 35-40 per cento dei costi e del tempo necessario per lo sviluppo di un farmaco.


La fortuna (oggi) conta poco


Fino a qualche tempo fa il riposizionamento di un farmaco era frutto più di un caso fortuito che di una vera e propria analisi mirata. Si notava per esempio – come nel caso del minoxidil – un effetto collaterale che poteva diventare un vantaggio per alcuni pazienti con altri problemi.

Oggi il riposizionamento è il risultato di una ricerca attenta che si avvale delle più sofisticate tecnologie di biologia, chimica e informatica.

In genere, partendo da speciali banche nelle quali sono raccolte migliaia di molecole (incluse alcune già approvate per l’uso in clinica), i ricercatori che si occupano di cancro valutano in modo sistematico quali di questi composti potrebbero essere candidati per un futuro utilizzo in oncologia. In alcuni casi si procede con un approccio computazionale, che prevede di analizzare enormi quantità di dati riguardanti caratteristiche come l’espressione genica e la forma delle molecole. Questo passaggio può essere fatto simulando per esempio le interazioni tra le molecole disponibili e potenziali bersagli presenti sulle cellule tumorali. In alternativa si può procedere con tecniche che permettono di valutare contemporaneamente centinaia di composti in vitro o in vivo. In uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Cancer, grazie a un approccio di questo secondo tipo, i ricercatori hanno studiato l’effetto di 4.500 molecole in quasi 600 linee cellulari tumorali umane, scoprendo così nuovi potenziali candidati per future terapie. Tra le molecole considerate promettenti, alcune non hanno proprio nulla a che vedere con il cancro ma sono attualmente in uso contro malattie come il diabete, la dipendenza da alcol e persino l’artrosi del cane.


Riposizionare non è sempre facile


Per quanto detto finora potrebbe sembrare che il riposizionamento sia un approccio molto promettente, ma non bisogna dimenticare gli ostacoli che si possono presentare lungo il percorso di repurposing.

Innanzitutto non è semplice avere a disposizione tecnologie e competenze per programmi sistematici di riposizionamento. Di conseguenza, queste ricerche non possono essere portate avanti da tutti i laboratori. Ci sono anche ostacoli clinici e biologici non trascurabili: un farmaco che funziona bene a un certo dosaggio per la sua indicazione originale può richiedere “aggiustamenti” notevoli in termini di dosaggio e di tipo di somministrazione prima di poter essere utilizzato in modo efficace per trattare un’altra condizione. Inoltre, il fatto di partire da una solida base – ovvero gli studi già portati a termine per la molecola nella sua indicazione originale – riducono ma non eliminano del tutto il rischio di fallimento. Un’eventualità di cui ricercatori e aziende devono tenere conto. Infine, è necessario fare i conti con aspetti burocratici e con i brevetti da cui possono essere coperte alcune delle molecole che si intende riproporre per un nuovo utilizzo. Anche questi fattori potrebbero complicare il processo di riposizionamento, allungando i tempi necessari e, in alcuni casi, aumentando anche i costi.

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